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Protezione della foresta, disegno d’invenzione, nuova cultura dei materiali naturali partecipano alla strategia produttiva di Listone Giordano.

Si dice che il dio Krishna (…) usasse la musica per favorire la produzione e la vegetazione nel Kunjavan di Vrindavan, una città assai famosa per i suoi santi/musicanti.

P.Tompkins, C. Bird, La vita  segreta delle piante, 1973

Anche in un discorso seducente come quello della sostenibilità non mancano i passaggi difficili: tra questi il problema dei processi di produzione dei manufatti è forse il più delicato e controverso. Bene, ad esempio, ipotizzare un materiale naturale – il legno, per definizione – per costruire “quasi tutto”: dalle architetture agli interni, dai rivestimenti ai mobili e, per quanto possibile, agli oggetti. Molte sono le ragioni, dal piacere tattile del materiale all’assenza di nocività, dall’accuratezza delle lavorazioni necessarie alla conservazione di tradizioni importanti: sempre più complesso risulta però garantire che il suo processo di produzione sia anch’esso compatibile con la conservazione della natura. Tra delocalizzazione, impiego di sostanze chimiche nelle coltivazioni e nelle lavorazioni, provenienza dubbia della materia prima, disboscamento selvaggio nei paesi produttori emergenti, anche l’industria del legno, invece di contribuire all’equilibrio dell’ambiente, può diventare un fattore della sua distruzione . 

L’altro capo del dilemma natura/artificio è la possibilità di un disegno contemporaneo che rimetta insieme le qualità del materiale proveniente dalla natura con la complessità della cultura dell’abitare. Un lungo stacco spaziotemporale ha fatto in modo che per troppo tempo la cultura dell’industria, anche italiana, rinunciasse all’innovazione con i materiali naturali, per concentrarsi sull’inventarne e impiegarne di sempre nuovi. 

Un positivismo a volte ingenuo che ha portato, nel migliore dei casi, a qualche moda nostalgica e passeggera, senza che ai designer fosse data la possibilità di confrontarsi organicamente con il progettare, o riprogettare, materie antiche come il legno. Perfino alcuni malintesi ecologisti (Philippe Starck ama ripetere la cinica boutade “Non c’è materiale più ecologico delle plastiche!”) hanno contribuito a confondere lo stesso utente, che può essere sfiorato dal dubbio che utilizzare materiali naturali possa a sua volta contribuire a un impoverimento delle risorse. Così che i progettisti che invece hanno amato e amano confrontarsi con certe qualità (o difetti, per alcuni) naturali, debbano ridursi a una nicchia di mercato sempre più ristretta. 

Questi ragionamenti, in positivo e in negativo, mi sono venuti in mente ascoltando per la prima volta Andrea Margaritelli in una presentazione tenuta tempo fa a Milano, in cui veniva illustrato il ciclo della produzione Listone Giordano, ancora a monte delle lavorazioni vere e proprie: cioè nei luoghi dove la materia prima nasce, muore e rinasce, in un ciclo non alterato dall’impresa economica, ma facilitato e controllato insieme allo Stato. Diversa dalle tante noiose occasioni di routine mediatica, quella presentazione aveva qualcosa di autenticamente originale. Non proponeva un’incombente identità aziendale, il mito dell’infallibilità dell’ingegno industriale. Con una certa dose di calma Zen, introduceva nel discorso della sostenibilità l’effettiva possibilità di affrontare uno dei problemi centrali del progetto contemporaneo con un approccio radicale: partendo dalle coltivazioni degli alberi, delle tecniche di loro selezione, conservazione e utilizzo. Una strategia mirata sia in Italia come in Francia. Qui, in particolare, una cultura secolare ha da sempre meglio codificato le prassi e le tecniche per ottenere il meglio dalle coltivazioni: senza aggredire o distruggere il bosco, la foresta, considerati un patrimonio nazionale non meno che i monumenti e le opere d’arte. Solo attraverso una strategia di questo genere e qualità si può parlare del legno come materiale per una sostenibilità reale. Va preso atto di un paradosso: per la natura in realtà il legno stesso è un prodotto di scarto, ciò che davvero alimenta l’equilibrio degli esseri sul pianeta sono le emissioni, ossigeno e CO2, di piante e alberi. Progettare il processo di produzione di questo prezioso “scarto” in termini di compatibilità ambientale, lasciando respirare gli organismi che lo generano, non è meno importante che trovarne l’applicazione della migliore e più innovativa qualità sensoriale. 

Foresta di Fontaines – Borgogna – Francia

Qualche tempo è passato da quella presentazione e Margaritelli ha saputo dimostrare che è possibile, almeno in parte, per episodi più che per grandi narrazioni, chiudere il cerchio del corretto rapporto tra teoria e prassi della sostenibilità, nella progettazione e nella produzione: trovare cioè l’accordo tra le intenzioni inventive del progettista e le necessità produttive dell’impresa, tra l’uscire da/ e lo stare dentro/ i limiti dati dal materiale e delle sue tecniche di generazione e utilizzo. Così l’impostazione del lavoro con Michele De Lucchi, il primo architetto a disegnare (con Philippe Nigro) un nuovo modello di pavimentazione per Listone Giordano, ha origine proprio da questa necessità di mediazione, riassunta nell’idea di Natural Genius: una possibilità d’invenzione intrinseca ai prodotti della foresta, che designer e imprenditore sono chiamati a tradurre in materiali, oggetti concreti che mantengano l’identità delle forme naturali da cui provengono. 

Medoc – Design: Michele De Lucchi – Natural Genius

Questo genere di collaborazione risulta tanto più interessante vista nella prospettiva più generale del lavoro di De Lucchi, che può essere considerato tra i pochi continuatori di una tradizione democratica del design italiano: “democrazia” sia come apertura al dialogo con i tanti che partecipano al progetto, sia come attenzione agli umori del tempo (come nelle sue prime esperienze con Alchimia e Memphis) che per quanto possibile si esprimono anche nella scelta delle merci da consumare. Così De Lucchi (investendo anche molte energie in autoproduzioni come Collezione Privata, dove ha sperimentato l’uso di materiali più vicini alla natura, dal legno al vetro) ha potuto imprimere al suo lavoro, per svolte successive, una connotazione organica in molti sensi: da una certa unità tra design e architettura al ritorno a materiali classici, classicità che non priva però i suoi progetti di una certa forza espressiva. 

Non è quindi solo una coincidenza che il primo incontro tra Margaritelli e De Lucchi avvenga per l’installazione di una piccola torre lignea al Castello Sforzesco di Milano, nel 2007: trovata l’intesa su una concezione comune di Genius Naturae, l’incarico progettuale riguarda il ridisegno del listone, l’elemento per pavimentazione in legno che dà il nome stesso all’azienda di Margaritelli. L’ispirazione è volutamente semplice, ingenua, ovvero scaturisce dalla forma e immagine dell’albero, proteso nella crescita, e da una certa sapienza artigiana. Già un tempo per evitare lo spreco del materiale, si usava non rettificare le assi della pavimentazione che nella posa erano disposte alternate.

Anche gli elementi che costituiscono il prodotto Medoc riprendono l’andamento convergente del tronco, diventano componenti simmetriche e speculari che generano un leggero pattern, evocativo dell’intreccio dei rami nella foresta. E come nella crescita naturale degli alberi – in cui ogni ramo è simile all’intero esemplare e ogni rametto è a sua volta simile al ramo da cui spunta – i listoni pensati da De Lucchi e prodotti da Margaritelli rivelano una seconda natura frattale, la stessa che distingue tante altre forme “spontanee” del mondo originario, a tutte le scale: dai cristalli alle montagne, dai fiori alle nuvole… 

Mettersi in ascolto della natura, della sua infinita inventiva di fronte a cui quella degli umani e delle macchine quasi sempre impallidisce, può essere ancora una chiave per penetrarne i misteri, derivarne l’ispirazione più intelligente anche per il disegno dei prodotti industriali. Non sembra un caso che oggi a fare concorrenza ai materiali naturali siano proprio quelli che li imitano integralmente, ma con sempre maggiore abilità, talvolta davvero stupefacente come nel caso di certa ceramica. Eppure anche questo mimetismo non è altro che inconfessata proiezione del peccato originale, di quel qualcosa, o qualcuno, che ha allontanato il genere umano dai giardini dell’Eden. Si ricerca sempre il luogo dell’equilibrio – che forse ancora esiste ancora in qualche sperduto angolo della Terra – dove ognuno, dal progettista all’utilizzatore, dall’architetto al committente, non potendolo vivere, sogna di tornare: fosse anche solo con il gesto del disegno, del modellare una seconda realtà artificiale che lo sostituisca dignitosamente e che ne protegga per quanto possibile l’esistenza, o il ricordo, anche per quelli che verranno. 

Fontaines – Borgogna – Francia

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