Nelle ricerche di un componente eretico del più famoso gruppo dell’architettura radicale italiana, l’intuizione di un progetto futuro di cose, immagini e architettura, utopico e problematico insieme.

L’architettura concettuale richiede un’“altra” rappresentazione, è rappresentazione: cinema, fotografia, immaginario fotografico, immaginazione-immagine.

Alessandro Poli, in ‘Manifesto’ sulla necessità del film e di nuove forme di rappresentazione dell’architettura, 1972

Da quando l’architettura italiana ha smesso di essere all’avanguardia, o perlomeno ha smesso di porsi il problema se esserlo o meno – e sono passati ormai più di 3 decenni – si è scatenata tra gli studiosi, nelle università e nell’editoria internazionale una caccia alla ricostruzione delle vicende dei gruppi “radical”, in testa il Superstudio: che sicuramente può essere considerato uno degli ultimi episodi dell’avanguardia, e insieme premonitore del postmodernismo e del suo nichilismo, forse anche perché i progetti del gruppo fiorentino sono particolarmente astrusi, o meglio metafisici, lontani da ogni logica o finalità costruttiva e con un alone di mistero che ancora ne circonda il significato, malgrado le infinite interpretazioni che ne sono state date. 

In effetti, non si tratta neanche di progetti ma puramente di visioni di un indeterminato e primitivo futuro dove l’architettura – a parte la scala dimensionale totalizzante (Monumento continuo), che pure sappiamo essere oggi la realtà delle megalopoli – avrebbe avuto poco a che fare con i problemi immanenti della città e degli edifici che la compongono: monoliti ciclopici, a quadretti e no, che avrebbero parlato invece un linguaggio cupo, desolato, in progetti più simili alla land art che al disegno per la licenza edilizia, in vigore in Italia fino al 1977 (quando diventa permesso di costruire). Ma allora il Superstudio era già storia, la sua esperienza si era virtualmente conclusa, i suoi componenti avviati su strade personali e singolari: compresa, di lì a poco, la conversione del loro geniale leader Adolfo Natalini a un postmodernismo caricaturale, con archi, colonne, pinnacoli e torrette.

Alessandro Poli, progetto (sezione) per una discoteca Piper, 1966 (tecnica mista, matite colorate su copia eliografica) Courtesy the Artist/CCA Montreal Funds
Alessandro Poli, progetto (sezione) per una discoteca Piper, 1966 (tecnica mista, matite colorate su copia eliografica) Courtesy the Artist/CCA Montreal Funds

Sembra così molto meritevole – in questa campagna di esplorazioni non sempre scientifiche – il lavoro minuzioso condotto da Mirko Zardini e Giovanna Borasi al CCA (Centre Canadien d’Architecture) di Montreal, per la riscoperta di una delle anime più singolari nella geopolitica Superstudica: Alessandro Poli, architetto/artista che nella mostra “Other Space Odisseys” (Altre Odissee nello Spazio) del 2010 compare insieme ad altri due personaggi singolari come Michael Maltzan e Greg Lynn.

Anche se sono passati 11 anni da quella mostra, accompagnata da una bella e rara pubblicazione, la lettura che del personaggio Poli viene fatta è più che contemporanea: invece di uno scavo puramente storiologico nelle vicende del più famoso gruppo dell’avanguardia radicale – che pure meriterebbe un’analisi, vista la breve permanenza di Poli al suo interno – la ricerca si è tradotta in un sostanzioso ed eccezionale fondo (471 disegni, 57 oggetti, 33 fotografie, 8 album di schizzi, 6 modelli, etc.) che traccia un completo profilo dell’artista/architetto.

Alessandro Poli, Paesaggio Lunare Luna Park , Architettura Interplanetaria, 1973 (tecnica Mista, Disegno, Collage) Courtesy The Artist CCA Montreal Funds
Alessandro Poli, Paesaggio Lunare Luna Park , Architettura Interplanetaria, 1973 (tecnica Mista, Disegno, Collage) Courtesy The Artist CCA Montreal Funds

A quella mostra ne segue un’altra nel 2019, sempre al CCA, a cura della sola Giovanna Borasi, dopo che Mirko Zardini ha lasciato la direzione del Centre Canadien d’Architecture.  Scripts for a new world: Film storyboards by Alessandro Poli insieme ad altri materiali presentava nella galleria ottagonale del CCA gli story-board e i collage di diversi progetti di Poli, che illustrano l’uso del film come uno strumento progettuale, come ulteriore contributo alla discussione, a volta la polemica, sulla possibilità di racconto dell’architettura in un mondo sempre più ossessionato dall’immagine. Dei progetti da lui curati nei suoi pochi anni di partecipazione al Superstudio risaltavano in mostra i due film Architettura Interplanetaria (1969–1971) e Supersuperficie [Supersurface] (1971–1972).

Alessandro Poli, Autostrada Terra-Luna 1970-71 (fotomontaggio ); courtesy the artist.

L’Architettura Interplanetaria è un viaggio fuori dalle rotte terrestri alla ricerca di territori liberi dagli incubi urbani,
dai bisogni indotti, dalla pianificazione come soluzione di tutti i problemi. un viaggio i cui manuali di bordo erano “La fine dell’utopia” di Marcuse, “La teoria dei quattro movimenti” di Fourier, “L’io diviso” di R.D. Laing e “L’impero dei segni” di Roland Barthes.
 (…) Avevo realizzato, al centro di ricerca cinematografica dell’Università, un film sonoro in 16 mm di 15 minuti. Cominciarono ad apparire immagini eccezionali, collage in cui ritagli di foto venivano trasfigurati da semplici ritocchi grafici: “Autostrada Terra-Luna”, “Avvicinamento dei pianeti”, “Scene di vita sulla Luna”….

Lasciato il Superstudio, Poli ha proseguito nella ricerca e nella progettazione di immagini futuribili e/o fantastiche. Racconto nel racconto, ha eletto a protagonista del suo filone di ricerca sulla cultura materiale “autoctona” Zeno, un contadino di Riparbella, comune in Val di Cecina, nell’Alta Maremma storicamente conosciuta come Maremma Pisana: a partire dal progetto “Zeno, una cultura autosufficiente,” presentato nel 1978 alla Biennale di Venezia con Superstudio col titolo “La Coscienza di Zeno”, gioco di parole che prendeva a prestito il titolo del famoso romanzo “psicoanalitico” di Italo Svevo.

Alessandro Poli, New domestic  Landscape, 1970-71, (disegno per story-board di un film); courtesy the artist.

La rete di energia vista nell’Architettura Interplanetaria è un concetto che si ritrova nel progetto Supersuperficie, realizzato nel 1972. L’opera viene presentata in due sezioni, una installazione ed un film in 35 mm con sonoro e presa diretta, realizzato con la stessa tecnica attraverso,  matite, colore, penna a china. Il territorio è organizzato mediante una rete di energia proiettata a terra(…). L’uso della Terra avviene per mezzo di griglie di servizi e di comunicazione. In questi vuoti avviene lo sfruttamento più o meno intensivo del territorio. La Natura viene ridotta a cultura secondo criteri di massimo sfruttamento funzionale.

Sugli strumenti del lavoro, e anche sulla vita, di Zeno la ricerca e la documentazione di Poli ha qualche sovrapposizione con il grande progetto antropologico “Culture Materiali Extraurbane” del Superstudio; ma da esso si distacca per assumere forza narrativa visuale in tante immagini e opere che Poli continuerà a comporre nella sua attività, sempre più simile a un lavoro artistico. Così che Zeno troverà anche un alter ego nell’astronauta Aldrin – preso anch’esso a prestito da un altro immaginario – quello dello sbarco sulla Luna dell’Apollo 11 nel 1969. Da allora nei progetti, libri e mostre di Poli i due personaggi s’incontreranno dialetticamente.

Avvicinamento dei pianeti – Zeno incontra  Aldrin a Riparbella, nuova campagna Toscana, 2008 (tecnica mista, disegno/collage); courtesy the artist.

Il paesaggio di Riparbella dove Zeno e Aldrin si incontrano, dopo tanti anni dall’atterraggio sulla Luna è quello ricostruito dal loro racconto. La campagna delle Preselle con la capanna, la pozza, il filare di viti, appartiene ormai alla storia, l’accelerazione del tempo contemporaneo l’ha trasformata in un’anonima periferia. Il loro incontro cambia la periferia in luogo(..). La sua capanna, nella campagna di Riparbella era simile alla capsula spaziale di Aldrin: erano infatti due scatole-architettura autosufficientI. La grande differenza era che Zeno aveva costruito questa “astronave” con le sue mani, da solo sapeva guidarla e produrre l’energia necessaria per il viaggio.

Alternativa a tornare indietro nel tempo (per chi come me non ha visto nessuna delle due mostre del CCA) o per andare fino a Montreal per la consultazione del suo fondo, è incontrare l’architetto/artista e sua moglie, la paesaggista e scrittrice Mariella Sgaravatti, nella loro bella casa presso Firenze: ovvero fare un altro salto indietro – o forse avanti – nel tempo, trovando in un’immensa quantità di lavori, oggetti, disegni, stampe, litografie, fotografie le tracce di quello che è stato prima il breve percorso collettivo di Poli insieme ai compagni del Superstudio, e poi il suo solitario viaggio spaziale interplanetario che non sembra ancora concluso. Neanche oggi che si sta avverando la profezia, anzi la distopia, di un futuro tecnocratico in cui si concretizzano le ipotesi più inverosimili – positive e negative – dei pionieri della fantascienza.

La letteratura – e con autori come Poli anche l’architettura letteraria – anticipa la vita, sempre.