Renato Guttuso

Il primo di una serie di “dialoghi” artistici che attireranno la curiosità del lettore di One con la lontananza – nel tempo e/o nelle poetiche – di due autori anche molto diversi tra loro.

Questa intervista, pubblicata nel 1981 nel numero 40 della rivista MODO con il titolo: Il compagno pittore. Colloquio di Lea Vergine con Renato Guttuso sugli amici, la critica, la politica culturale del Pci, la pittura, restituisce il clima ancora utopico e certamente irripetibile di un epoca non lontanissima in cui per la cultura – anche quella artistica – si poteva in Italia ancora pensare a una sinergia, se non con la politica, almeno con un’ideologia di progresso: anche se di questa sinergia dalle parole di Lea Vergine (e anche un po’ da quelle di Guttuso) si avvertono distintamente gli scricchiolii. Due mostri sacri – anziano e ironico il pittore per anni “Pontefice” del neorealismo in pittura, ancora giovane e provocatoria la critica d’arte che sarebbe poi diventata una delle più importanti, se non la più importante per l’arte contemporanea – in un duello di battute raccontano illusioni, delusioni e in piccola parte speranze di quelli che furono in Italia gli intellettuali “impegnati”.

Renato Guttuso
Renato Guttuso, Autoritratto, olio su cartone, cm 22×19, 1952

Per One Listone Giordano, è questa l’occasione per pubblicare il primo di una serie di “duelli/duetti”, dove si confrontano autori e opere, lontani nel tempo e/o nelle poetiche, ma che proprio da questa loro lontananza traggono il fascino discreto della curiosità, per l’autore come per il lettore. SC

Lea Vergine: Guttuso, cosa vorrebbe che le chiedessi? Tra noi non c’è dimestichezza, sebbene alligni una vecchia simpatia.

Renato Guttuso: Quello che dice è molto gentile. Lei conosce quello che è pubblico di me, quindi saprà cosa chiedermi.

Vergine: A chi o a che cosa può servire una chiacchierata tra noi due?

Guttuso: Non vorrei rispondere in modo pretenzioso. Credo al fatto che la gente parli. Credo alla dialettica delle idee. Quando la gente parla si creano punti di incontro e di scontro. Bisogna avere il coraggio di sostenere quelli di scontro e di cedere su quelli di incontro.

Vergine: Cedere sui punti di incontro è più difficile.

Guttuso: Si, ma fa parte delle maturità.

Vergine: Credo che lei sia persona dotata di una gentilezza intrinseca e non trovo nulla di disdicevole nella sua fama di affabulatore… però voglio porle una serie di domande piuttosto sgradevoli.

Guttuso: Sono pronto.

Vergine: All’interno stesso del suo partito, come in ogni parrocchia, sparlano di lei, specie i compagni pittori. Dicono, per esempio, che lei ha continuo bisogno di essere circondato, come un antico principe, di cortigiani. Dicono anche che in politica è spesso prepotente. Dicono che ha fatto molto soffrire in amore.

Guttuso: Non credo che queste accuse siano giuste. Non so se il rapporto tra me e il partito sia così determinante, come vogliono alcuni luoghi comuni inventati intorno agli anni ’50-’60. Credo che queste posizioni non abbiano più senso. Non lo dico solo per polemica, ma in senso autocritico.

Vergine: E questi cortigiani?

Guttuso: Cortigiani non ne ho mai avuti. I miei imitatori, se pure ne ho mai avuti, sono solo miei nemici.

Vergine: La faccenda che lei ha fatto tanto soffrire in amore?

Guttuso: lo ho sempre molto sofferto in amore, anziché far soffrire…

Vergine: Quali sono, oggi, i suoi rapporti con le nuove leve del Pci?

Guttuso: Quali sono le nuove leve del Pci? Il Pci ha aperto le porte a posizioni molto differenziate, e persino opposte tra loro. Proprio ieri, partecipando a una riunione di comunisti nella quale c’è stato un interessante rapporto di Giorgio Napolitano, ho denunciato quanto fosse necessario sviluppare la dialettica tra le varie posizioni interne al Pci, che non sono solo generazionali ma addirittura ideologiche. Il Pci, oggi, non è più quello che era: si è enormemente allargato e io mi auguro che l’aspetto positivo di tale allargamento sia un colloquio tra generazioni e tra gruppi di diversa mentalità; che il colloquio si sviluppi cioè sul terreno dialettico e non sul terreno delle opposizioni generazionali. Purtroppo non abbiamo lavorato abbastanza perché questo problema si risolvesse.

Vergine: Come le sembra la attuale politica culturale del suo partito?

Guttuso: Non mi risulta che ci sia una politica culturale. Siamo passati da una politica culturale rigida, fideistica e volontaristica a una assenza di politica culturale. Forse oggi il Pci potrebbe attuarla, ma non attraverso un’accettazione indiscriminata di tutto, solo per correggere un precedente eccesso di rigidezza…

Vergine: Quali sono i suoi rapporti con i critici intorno ai 40 anni?

Guttuso: Si può spiegare con qualche esempio?

Vergine: Diciamo Fagiolo, Celant e Trini.

Lea Vergine nel suo studio di Milano, anni 2000
Lea Vergine nel suo studio di Milano, anni 2000

Guttuso: Con Trini stima e rispetto. Con gli altri ho rapporti di reciproco rispetto. lo ascolto quello che loro dicono e loro, tal-volta, ascoltano quello che dico io. In realtà i contrasti ci sono stati con quelli della generazione immediatamente seguente la mia, che hanno ancora potere.

Vergine: Parlavo di quelli intorno ai 40 anni come me, cioè di quelli che hanno votato Pci fino a dieci anni fa e sono sempre stati presi a calci sui denti. Per noi si è trattato, come dire, di un amore frustrato alla meta, di attesa di una risposta che non è mai arrivata, anzi…

Guttuso: La capisco molto bene. Sono d’accordo con lei. Una discussione reale non c’è stata, c’è stata invece come una resipiscenza dovuta al nostro senso dì colpa. L’autocritica non è stata fatta se non individualmente, secondo coscienza di ciascuno di noi.

Vergine: Il problema non si pone in termini di efficienza dei risultati dell’autocritica ma di mancata risposta, di scoraggiamento, verso quella che era una richiesta di attenzione da parte dei più giovani…

Guttuso: Con i giovani, glielo ripeto, io ho rapporti di cordialità, di stima e perfino di affetto, forse per quella vecchia storia freudiana del nonno che è amico del nipote.

Vergine: Senta, per riandare ai suoi coetanei, mi vengono in mente due nomi abbastanza sintomatici: Argan e Dorfles. Dorfles, tra l’altro, deve averla conosciuta nel ’34, ad una sua personale da Bragaglia, a Roma.

Guttuso: Argan e Dorfles rappresentano due posizioni diverse tra loro e diverse dalla mia. Con entrambi i miei rapporti sociali sono ottimi. C’è una mia lettera al partito, quando sono stato interpellato sulla opportunità di offrire ad Argan la carica di sindaco di Roma, dove è testimoniato che io ho appoggiato Argan. Come sindaco è stato ottimo perché laico, colto, onesto. Mentre sulle sue posizioni critiche non sono mai d’accordo, neppure sulla prefazione alla mostra di Kandinsky, alla quale ho collaborato in modo determinante. C’è il fatto che poi Argan scrive la voce Arte contemporanea e moderna per l’Enciclopedia dell’Arte e io non compaio; questo significa che pesiamo in maniera completamente diversa. Segnalo però questo dato di fatto fondamentale: io credo di essere un pittore contemporaneo con tutte le carte in regola. In quanto a Dorfles, io non sono uno studioso della sua opera, ma nei miei incontri con lui, ho rilevato posizioni non troppo distanti.

Vergine: Diciamo che lei si sente più affine a un personaggio come Dorfles, probabilmente anche dal punto di vista umano.

Guttuso: In definitiva sì, anche per il carattere di Dorfles.

Vergine: Più conciliante?

Guttuso: Più conciliante e più astratto.

Vergine: Lei diceva prima di essere convinto della contemporaneità della sua pittura. Pensa di essere ancora un pittore rivoluzionario?

Guttuso: Sì, certo. Oggi che sono invecchiato ho capito che essere pittori rivoluzionari significa fare quello che si crede giusto. Io sono rivoluzionario anche se non sono andato in galera.

Essere rivoluzionari significa volere cambiare le cose. E sono comunista perché desidero che le cose cambino.

Vergine: Ma lei crede che la sua pittura sia rivoluzionaria? Lei dice «rivoluzione significa cambiare il mondo». Ma lei sa bene che da Malevich all’ultimo pittore delle neo-avanguardie è pretesa comune, o per lo meno come tale viene millantata. Quindi, la domanda è: lei pensa di avere contribuito al cambiamento del mondo attraverso la sua pittura?

Guttuso: Vorrei credere di sì. Non credo alla rivoluzione permanente. Non sono un Trotzkysta, sono un comunista militante che ha inghiottito tutti i rospi. Non credo alla rivoluzione permanente così come non credo all’avanguardia permanente.

Vergine: I suoi amici di oggi, mi faccia dei nomi senza pensarci troppo. Guttuso: Nel campo…?

Vergine: Politica, spettacolo, letteratura, famiglia…

Guttuso: Be’, Rocco, Isidoro… (Rocco Catalano e Isidoro Canfarotta, assistenti di Guttuso, ndr)

Vergine: Rocco e Isidoro l’aiutano in studio?

Guttuso: Si, poi ho un amico adorabile, a Varese: si chiama Nino Marcobi. Questi sono in fondo gli amici. Tra gli intellettuali che frequento di più, Natalino Sapegno, Cesare Brandi, Giuliano Briganti e Maurizio Calvesi. Vergine: Non ha ricordato neanche una donna.

Guttuso: Lea Vergine. Non la vedo mai, figliola mia, io la vedrei tanto volentieri!

Vergine: L’ultimo libro che ha letto?

Guttuso: Le poesie di Paolo Volponi. Ma sto rileggendo con molto piacere «Da Quarto a Volturno» di Giulio Cesare Abba. Siccome ho illustrato Boccaccio per Bestetti, mi sono riletto anche Boccaccio. Ho sul tavolo un libro che non ho il coraggio di affrontare, quello di Umberto Eco.

Renato Guttuso, La notte di Gibellina, 1970, olio su tela cm 88.5 x 139, 1970
Renato Guttuso, La notte di Gibellina, olio su tela cm 88.5 x 139,
1970

Vergine: Cosa pensa di quanto accade oggi in architettura?

Guttuso: Sono convinto che l’operazione che si sta facendo sia giusta.

Vergine: Cioè, il post-modernismo…

Guttuso: Sì, la mostra di Venezia, Portoghesi. Giusta perché distruttiva di alcuni miti, di alcuni tabù. L’unica mia preoccupazione è che questo avvenga in un modo ancora avanguardistico. Che però in architettura ci fosse bisogno di dare più spazio alla fantasia piuttosto che alle ideologie e alle pseudofilosofie, questo è vero.

Vergine: Che significa? Portoghesi sì, Tafuri no?

Guttuso: Non li conosco bene abbastanza. Portoghesi è un uomo che ha delle buone idee; ma oggi il vero grande coraggio non è tanto quello di contrapporsi a quanto è già avvenuto, ma è quello di trovare un metodo costruttivo.

Vergine: Cosa è per lei il design?

Guttuso: Un mito sociologico. Se lo si pensa, invece, come qualcosa di legato al pensiero di una società, allora ha un senso. È evidente che un buffet Renaissance appartiene a una civiltà.

Vergine: A una civiltà appartiene anche una macchina da scrivere disegnata da Sottsass.

Guttuso: La macchina che Sottsass disegna per l’Olivetti ha un limite di tempo molto ristretto; è come se aspettasse già la sua contraddizione.

Vergine: Ma è lo stesso discorso che si può fare per tutte le arti.

Guttuso: Certo, perché nell’arte contemporanea non si è ancora manifestato il coraggio di uscire dal metodo avanguardistico.

Vergine:Cos a pensa di questa cosiddetta pittura nuova che rivaluta il frammento, il decorativo, il piccolo episodio diaristico, lievemente autoconsolatoria?

Guttuso: È molto interessante la posizione di questi giovani. Io vedo piuttosto il ritorno al pennello piuttosto che alla pittura. Questo è un fatto positivo perché il pennello è ancora lo strumento più povero che esista; cosa c’è di più povero di un pezzetto di legno con un ciuffetto di peli, che può essere intinto nel caffè, nell’inchiostro o nello sterco… altro che tutto il grande parlare che si è fatto intorno all’arte povera! Che oggi si ritorni a questo strumento diretto per esprimersi, diretto com’era lo scalpello nelle caverne, è un fatto estremamente positivo. Solo che a me non basta. È solo un inizio, bisogna vedere cosa faranno in seguito. Mi pare che ci sia un’operazione critico mercantile che destina già questa operazione ad un fallimento in quanto prepara qualche al-tra cosa che possa contraddirla.

Vergine: Senta, Guttuso, lei è uno degli uomini meglio vestiti e più curati che sia dato incontrare…

Guttuso: Di questo la ringrazio.

Vergine: … sempre ben «allestito» in una società fintamente casuale o sciatta come la nostra. Si vede che le piace curare il suo arredo. Riflettevo, l’altro giorno, dopo averla incontrata a Milano, lei non è solo vestito bene, lei è quello che si dice una persona vestita di tutto punto. Questo significa anche star sicuri, saldi, con i piedi sulla realtà. Le chiedo: lei ci sta sicuro? Lei non soffre mai di depressioni o di ansie?

Guttuso: Non vedo molto il nesso tra le due cose. Poi non credo di essere vestito di tutto punto. Lei mi vede quando sono vestito con la cravatta. Sono una delle persone meno sicure che io conosca. Che poi io mi attenga alla civetteria di non vestirmi da artista…

Renato Guttuso, Vuccirìa, olio su tela cm 300x300, 1974
Renato Guttuso, Vuccirìa, olio su tela cm 300×300, 1974

Vergine: Né da artista, né da bancario, né da hippy.

Guttuso: Mi vesto a modo mio, con una certa naturalezza. Per tanti anni della mia vita ho indossato solo vestiti smessi avuti in regalo. Tra l’altro, Lucio Fontana, a Milano, mi regalò un vestito che ho portato per un paio d’anni perché non ne avevo altri… Che poi mi sia fatto fare dei vestiti da bravi sarti, quando me lo sono potuto permettere, non mi pare che sia tanto terribile.

Vergine: Pensa che di lei si possa dire: «non desidera che l’affetto di qualche amico e la memoria dell’amore»?

Guttuso: No, perché io credo che l’amicizia sia in un certo senso amore. L’amore però è un’altra faccenda: l’amore è grande e terribile, ci accompagna fino all’ultimo. L’amore è nemico della memoria, l’amore che si fonda sulla memoria è debole, ha bisogno di puntelli.

Vergine: Le dispiace invecchiare?

Guttuso: Molto, ma siccome invecchiare allontana un po’ la morte, in fondo mi fa anche piacere; nel senso che constati che sei vecchio e quindi non ancora morto.